Il sogno del successo

Successo vuol dire andare sempre avanti, facendo e ottenendo sempre di più, dimostrandosi sempre più bravi e più forti, sempre di più.

Per una convenzione implicita, nella cultura occidentale più è meglio di meno, grande è meglio di piccolo, crescere è meglio di ridursi.

Queste “metafore di vita quotidiana” hanno origine dalla nostra preistoria, quando una preda grande dava più cibo di una piccola, e i cacciatori veloci avevano più successo di quelli lenti.

Il mondo è cambiato, ma le metafore no, e così scoprirsi un’ambizione minore ci fa sentire come se tradissimo un sogno.

Ma il sogno di chi? Chi ha fatto il sogno che adesso, tutti insieme, ci sentiamo costretti a sognare?

È un istinto naturale, quello di proseguire nella strada già intrapresa: se abbiamo dedicato dieci, venti, trenta anni della nostra vita a una visione di noi stessi, l’unica strada possibile ci sembra quella di insistere, per non buttare via lo sforzo passato. In realtà, le stesse razionali leggi economiche invitano a considerare una strategia diversa, che chiamano dello “stop loss”: fermare la perdita.

L’investimento che fino a ieri aveva senso e dava un senso alla nostra vita, potrebbe oggi non averne più. Abbandonarlo non vuol dire rinnegare le scelte fatte: chiudere un’esperienza non vuol dire buttarla via, anzi. È la sua conclusione a darle un senso compiuto, ed è per questo che il movimento più essenziale della generatività è quello del lasciar andare.

Lascio andare questo ruolo e così lo onoro: ne riconosco l’importanza e la responsabilità, e per questo non lo voglio più.

Esiste la concreta possibilità di cambiare i propri comportamenti, cambiare anche interamente la propria strategia, come la prima condizione per autorizzarsi a essere “meno ambiziosi” e a dirigere le proprie energie verso nuove direzioni.

E’ un “proprio modo di essere leader”, e anche questo fa scuola nella possibilità di definire una nuova storia per sé: insieme alla necessità di smettere di paragonare la propria storia a un modello ideale, smettere di inseguire un parametro di riferimento che non riflette chi siamo. Il vero valore aggiunto che ognuno di noi porta, al proprio lavoro e al mondo, sta nella storia unica che rappresenta: nessuna storia è lineare, nessuno (ma proprio nessuno) va da A a B nel modo in cui insegnano i manuali.

La realtà è che A e B sono diversi per ciascuno di noi, ed è giusto che sia così, e questa eterna, implicita competizione tra di noi e con un modello di perfezione ci rende schiavi di un disegno che non ci riflette, non segue la nostra capacità di cambiare nel tempo, che è invece la nostra più grande ricchezza.

Dire “lascio” vuol dire anche “cerco”: faccio spazio a qualcosa di nuovo che potrebbe non essere di-più ma sarà certamente di-verso. Se ci sentiamo abbastanza convinti, possiamo ampliare anche il concetto di ambizione: non verso qualcosa definito dagli altri, ma verso qualcosa che si sostanzia di noi. Allora l’ambizione può diventare più grande a modo nostro: diventa l’ambizione a essere pienamente ciò che siamo, trasformandoci e cambiando strada ogni volta che lo sentiamo necessario.