Due modalità opposte per gestire lo stress

Il termine “sindrome della papera” ha origine dall’immagine di un’anatra che, mentre sembra scivolare calma sulla superficie di un placido laghetto, in realtà sta remando freneticamente con le zampe, solo per rimanere a galla. Questa sensazione di “stare sopra l’acqua ’’ può essere attribuita a qualsiasi persona che può sembrare rilassata e sotto controllo all’esterno ma, sotto sotto, sta lottando per mantenersi al passo delle richieste pressanti del lavoro, della comunità, della famiglia e delle proprie aspirazioni.

La sindrome dell’anatra è spesso riscontrata tra i giovani che essendo stati “i grandi pesci nel laghetto’’ al liceo o all’università – dei talenti, insomma – sono abituati ad essere popolari e performanti e quindi richiedono a sé stessi di essere sempre al top anche nelle fasi della vita successive. La sindrome dell’anatra non è una diagnosi medica ufficiale. Tuttavia, dire che se ne soffre significa riconoscere alcuni sintomi, quali la depressione, l’ansia o qualche altra forma di disagio psico-fisico in reazione a stress estremo.

Sappiamo che le reazioni allo stress possono essere diverse. Alcune persone lo affrontano bene e alcune persone scoprono che il loro stress si aggrava, indipendentemente da quello che fanno. Le reazioni fisiche allo stress estremo nei casi di sindrome dell’anatra sono ugualmente varie. Mentre alcuni riferiscono che lo stress dà loro mal di testa, disturba il loro sonno e offusca la loro concentrazione, altri riferiscono di sentirsi tesi o arrabbiati.

Quando lo stress diventa prolungato e grave, questa sensazione opprimente può condurre al burnout, che consiste nella completa mancanza di interesse della persona per le attività che prima lo eccitavano e coinvolgevano. Si diventa insensibili a tutto e si cercano vie di fuga, per sopravvivere.

Portare il risultato sempre, anche se ci è costato lacrime e sangue; mai un cenno di sofferenza, dimostrare facilità in tutto, perché se ammettiamo di aver fatto fatica, allora vuol dire che “non siamo fatti per questo o quel lavoro” …e via così in un turbinio di incarichi sempre più difficili, sfidanti e solitari. Ma con il sorriso stampato in faccia, pensando che sia il modo giusto o l’unico modo.

Sacrifici e competizioni che siamo convinti valgano la pena di essere affrontati perché in gioco c’è la nostra affermazione, quello che vogliamo fare, veramente. Fino a quando avviene un cambio di rotta e anche le anatre più motivate smettono di remare. È avvenuto e sta avvenendo: il Quiet Quitting, l’abbandono silenzioso.

Si stanno rivedendo le priorità, si cerca un lavoro autonomo o nuovi tipi di lavoro, la cosiddetta “economia della passione”, in cui le persone fanno di più ciò che amano. Insomma, di energia e di voglia di fare e realizzarsi ce n’è, ma, per molti, sembra trovare il suo spazio al di fuori dell’ambito lavorativo.

Adottare la modalità da “papera” non è più sostenibile di fronte ad un cambiamento d’epoca (e non un’epoca di cambiamenti).